Un monito, una eco: 70 anni dopo

28.01.2015 16:50

Indubbiamente le ricorrenze a cifra tonda si imprimono con più forza nella mente della gente; non che alcune date simboliche abbiano bisogno d'esser caricate di più enfasi per essere tenute a mente, tuttavia quest'anno che cade il Settantesimo anniversario dalla liberazione di Auschwitz, il giorno della Memoria sembra voler marcare con tinte più vivide quel ricordo.
Forse perché la spirale di violenza ed intolleranza in cui pare essere caduta l'Europa non accenna a diminuire, forse perché qualche giorno fa la Rai ha trasmesso in prima serata il documentario "In nome della razza", fatto di tutti i filmati originali che i sovietici girarono il 27 gennaio del 1945, dopo essere entrati ad Auschwitz, forse perché ancora si parla di teorie negazioniste, o forse semplicemente perché il dolore è sempre uguale a se stesso, non svanisce e non si annulla con il tempo, ma quando si pensa ad esso, è lì, intatto e perfetto, nella sua granitica interezza e tutti, con esso, ci "livelliamo".
Allora tutto sembra acquistare un valore, tutte le testimonianze e le lacrime dei sopravvissuti, i fiumi di inchiostro scorsi per spiegare e per non lasciare che tutto cada nell'oblio.
Chi pensa che sia superfluo o di parte continuare a parlare dei campi di sterminio sorti nel cuore della civilissima ed industrializzata Europa, non ha ben compreso il senso della memoria; si ricorda per evitare che si ripetano quelle atrocità, certo, ma si ricorda anche perché tutto il dolore ad Auschwitz o a Birkenau, a Dachau o, più vicino a noi, a Trieste (solo per citare quelli più noti, ma di tali luoghi se ne contano più di 1600 tra Italia, Germania, Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia), morde allo stesso modo, sempre riconoscibile e deprecabile, che passi per Kobane o per Gerusalemme, per le terre del Sudan o della Nigeria, dove i cristiani e le minoranze etniche vengono sistematicamente massacrati e deportati, che passi per lo stato di Guerrero, dove gli studenti dissidenti messicani vengono trucidati e bruciati; in una scia di sangue e persecuzioni tale che la follia umana non ha limiti e non ha confini.
E dunque vi è necessità che una memoria collettiva si mantenga viva; è necessario che si parli, che si ricordi e che si commemori, non c'è alternativa per combattere la violenza.
Si deve sapere e si deve conoscere, perché quando tutti i testimoni moriranno, quando tutte le voci di coloro che hanno vissuto quelle realtà si saranno spente, la memoria non dovrà sopirsi, ma dovrà conservarsi forte e radicata nelle future generazioni, tanto da rendere Auschwitz ancora il monito dell'abominio ed il simbolo per riconoscere e combattere le violenze e le persecuzioni in ogni angolo del pianeta.

Rossella Marchese


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