Napoli Teatro Festival Italia In scena al Teatro Mercadante Antonio e Cleopatra

01.07.2013 12:42

« I cieli stessi, i pianeti e questo centro dell’universo, osservan grado, priorità, e posto,(…) seguendo un preciso ordine», come «il magnifico pianeta Sole è installato e posto nella sfera tra gli altri, il cui occhio salutifero corregge i sinistri aspetti dei pianeti maligni, e come il bando di un re ingiunge senza intoppo a buoni e a malvagi». Se in Troilo e Cressida (atto I, scena III) le parole di Ulisse sembrano confermare il concetto neoplatonico di armonia universale, Shakespeare è già consapevole che la gerarchia ordinatrice del cosmo è ormai infranta. Se da parte del drammaturgo quella di Riccardo III è la scelta esemplare del rapporto peccato-pena secondo tale ordine, quella di Antonio e Cleopatra sembra coglierne quanto di essi si rispecchia in quel tardo Cinquecento dove l’armonioso equilibrio tra macro e microcosmo, nell’arco di pochi decenni, ha ceduto ai dubbi e ai conflitti dai quali, come da un parto doloroso, nascerà l’uomo moderno. Ecco quindi re ed eroi collocati nel solco della storia, alle prese con le loro coscienze e responsabili del proprio destino, fuori da quel concetto di regalità e di eroismo appartenente all’ordine perduto. Nella tragica temperie dell’ultima età repubblicana, nel gioco dei destini che pone tra le braccia della stessa regina i due artefici delle sorti di Roma, Antonio e Cleopatra sembrano scambiarsi, insieme ad un piacere devastante, la sorte di oscillare tra posizioni estreme fino al suicidio, strumento di riscatto per il condottiero sconfitto al quale la regina si contagia non per viltà, ma per ricostruire con l’orgoglio la grandezza perduta. Non per questo Shakespeare disconosce ai suoi personaggi il ruolo di aver inciso nella storia i propri nomi subendola ed insieme condizionandone il corso, ed è proprio questa totalizzante visione che ci sembra alla base della regia di Luca De Fusco, che dei personaggi sembra aver colto la finitezza umana senza annullarne la statura eroica e regale. Perché presentarne con grande finezza interpretativa le debolezze e le cadute, gli inganni e le deviazioni, i peccati non veniali e le pene fisiche e morali ai quali il destino li condanna, indica la piena assimilazione del regista non solo dei malesseri e dei turbamenti della storia nella quale essi sono immersi ed agiscono, ma anche della loro dimensione metastorica in grado di compensarne in parte la perdita di regalità e di eroismo. Per interpretare a nostra volta la sua scelta registica possiamo forse dire che chi ha frequentato, per motivi logistici e culturali, le antiche dimore dove tale storia ha avuto origine acquisendo quasi per impatti visivi quanto di storia, di metastoria, di leggenda e di mito, e quindi di intramontabile e di incorruttibile emana da tali luoghi, assume quasi naturalmente quelle radici culturali che ne segneranno il percorso evolutivo e creativo. Non sarebbero bastati mesi o anni di soggiorno creativo a Napoli e a Cuma, a Baia e a Miseno, a Pozzuoli e a Bacoli per assimilare quanto qui è scritto nelle pietre e nell’aria, nelle statue, nei templi, nel lago senza voli, né per metabolizzare tutto ciò rendendolo parte integrante del proprio modo di esprimerne quanto ancora ne vive. È su tali basi che l’approccio di De Fusco ai suoi personaggi dolorosamente trasgressori di quei valori universali che pure li sovrastano, non dimentica che essi sono stati i grandi protagonisti di una storia che ha condizionato a sé tutte le altre, in ogni tempo e in ogni luogo. Giusto per ribadire il concetto che la creatività può nascere e crescere ovunque, ma che non si specializza in pochi giorni, aggiungiamo che la delicatezza di tocco della regia sembra non aver trascurato la componente logistica della vicenda i cui protagonisti, da Antonio a Pompeo a Cesare a Bruto a Cassio a Ottaviano, sono stati tutti residenti flegrei non solo vacanzieri, e tutti coinvolti nella grande partita dai cui esiti si definì l’impero. In quello stesso tempo, lungo quello stesso mare, Virgilio scrive le Bucoliche e, su incarico di Mecenate, celebrerà le gesta di Augusto, in una trasposizione mitica e favolosa che risale ad Enea, che da una di queste selve coglierà il ramo d’oro per scendere nell’Ade a ricevere la profezia di fondatore dell’impero. Ci sembra che tali, ineludibili suggestioni, abbiano avuto il loro ruolo nella regia di De Fusco e quegli anfratti, quelle oscurità profonde, quei chiarori di luna alludano a scenari che fin dall’infanzia sono familiari a chi, da queste parti, ha avuto la fortuna, o la sfortuna, di nascere. I suoi personaggi, pur presentati in tutta le loro caducità e i loro peccati, sfuggono sia al rischio di esser trattati da anime perse sia a quello, com’è spesso d’uso negli strampalati svecchiamenti dei nostri tempi, di esser messi in giacca e jeans sia a quello, il peggiore, di esser trattati con la leggerezza dell’effimero. Parti integranti della storia, storia essi stessi, sono lì, a testimoniare che qualcosa di irripetibile, nel bene e nel male, è accaduto a loro e tramite loro a tutti noi, a tutta l’umanità. Nell’oscurità della scena, nelle loro vesti candide non di marmo, ma di luna (talora Ecate, talora Diana), essi scrivono con la luce la loro vicenda, recitano la loro liturgia pagana e la loro elegia dolorosa, affiorano luminosi dal buio che ne solca con pozze di vuoto e di solitudine i volti dai quali le parole sembrano fiorire, illuminando insieme ai suoni la tenebra: le parole, finalmente, scandite in tutto il peso e il contenuto dei quali sono portatrici, le parole come teatro e il teatro come parola nel vasto fiume di una storia all’immensità della quale ogni giudizio deve condizionarsi. Ci sembra, quindi, quella di De Fusco una regia pienamente coerente con il pensiero dell’autore del dramma, che ha sottoposto al suo giudizio critico i suoi personaggi già giudicati dalla storia: un giudizio né di assoluzione né di condanna ma solo dolorosamente partecipe della caducità della gloria che tuttavia conserva i suoi barlumi a dar luce e memoria al mondo.

Bravissimi gli interpreti, da Luca Lazzareschi a Gaia Aprea a Giacinto Palmarini a Paolo Serra a Gabriele Saurio.

Anna Maria Siena Chianese

 

 

 

 

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