Napoli Teatro Festival Italia. Don Quichotte du Trocadero al Teatro San Carlo

14.06.2013 09:18

Non della Mancia, ma del Trocadero, l’area parigina che prende il nome da una lontana battaglia franco-spagnola, è il Don Chisciotte di Cervantes-Montalvo che, in prima nazionale, dispiega sul palcoscenico del Teatro San Carlo i suoi incantevoli ammiccamenti e le sue affascinanti allegorie. Perché di quest’hidalgo, erede di un umanesimo che l’ha reso perenne innamorato della gentilezza e della finezza del vivere, cavaliere di serve che scambia per dame e di cause perse che scambia per missioni; che si annulla non per insignificanza della propria vita ma per la generosa follia di donare, viene colta dal regista quell’essenza preziosa che si dovrebbe chiudere in boccette per salvarla da ogni deriva e salvare con essa il mondo. Non è idealista, ma sperimentalista dell’irruzione dell’irrazionale nella conformità del vivere il nostro cavaliere che, non a caso, può porsi a capolista della narrativa psicologica moderna. Così i suoni e le immagini che ne rappresentano la vicenda non si omologano ad alcuna conformità di stile, ma irrompono sul palcoscenico con uno slancio che, via via che i toni si attutiscono, cede il passo ad un’incantata epifania di gesti e di danze, di parole e di suoni. Nello scorrere in parallelo sulla storia appena accennata del cavaliere senza macchia e senza paura che raduna in sé nascoste virtù e indicibili capacità d’amore, quanto accade sul palcoscenico viene gradualmente sfrondato dal supporto che, di solito, fa da traliccio portante di uno spettacolo fatto soprattutto di movimenti e di suoni. Perché gli straordinari protagonisti-interpreti della vicenda tessuta or son cinquecent’anni intorno ad un’idea, ad un’illusione, ad una speranza, sottolineano proprio quella irrealtà nella quale l’umanità si palesa, assurdamente, misteriosamente, nelle sue vette e nei suoi abissi. Acrobati senza trapezi, aquiloni senza fili, viti che si avvolgono su sé stesse penetrando del proprio moto la terra dove si nascondono e ancor vivono le misteriose radici che ci portano stasera questo sorridente narrare, questi schermi inconsueti…e cavalieri e mulini a vento in una città senza confini percorsa da un treno che porta a una periferia dal nome sognante: Port de Lilas, battesimo di film e di canzoni. Si è condotti per mano lungo quest’errante esplorazione del mondo tra lo scoppio di un suono e la cullante melodia di una canzone, e l’invito del trenino dipinto di nuance di verde è verso fermate a richiesta di chi ne sappia scorgere la meta avventurosa che la partitura dello spettacolo ci spalanca dinanzi col suo tripudiante arcobaleno di danze, di immagini e di suoni. Pur ricollegandosi alla interpretazione preottocentesca del Don Chisciotte come opera burlesca e caricaturale, Montalvo ne ha colto e trasmesso quella essenza che fa del donchisciottismo un costume e un ideale e del sottile, errante cavaliere un modello del quale tutti i Paesi vorrebbero vantare la paternità. A Josè Montalvo, Patrice Thibaud, Marius Petipa il nostro plauso, e ai bravissimi ballerini: 13, uno più degli apostoli.

Anna Maria Siena Chianese

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