Lo Cunto de Li Cunti di Basile nelle sale cinematografiche

31.05.2015 20:53

Lo Cunto de li Cunti di Basile, firmato da Matteo Garrone, arriva nelle sale cinematografiche per rimanere impresso negli occhi per sempre..

 “C'era una volta il Re di Valle Pelosa il quale aveva un'unica figlia di nome Zoza che non sorrideva mai”.

Questo è l'inizio della fiaba più antica che la nostra cultura europea conosca, questo è l'inizio de Lo Cunto de li Cunti, la più bella raccolta di racconti popolari, pubblicata postuma tra il 1634 ed il 1636 e scritta in dialetto napoletano da Giambattista Basile, poeta di corte e letterato vissuto nel XVII secolo.

Dalle sue pagine ha preso vita per la prima volta il personaggio di Cenerentola, ed ancora Streghe, Orchi, Fate, Re e Regine, Principi caduti in sonni simili alla morte, saggi gatti parlanti e draghi marini, in un incanto che irretì ed ispirò autori come Perrault, Andersen ed i fratelli Grimm e da cui, in questo senso, hanno avuto origine alcune delle fiabe sempiterne più celebri del mondo, da Cenerentola alla Bella Addormentata nel bosco, da Raperonzolo al Gatto con gli Stivali.

Ed è questa la medesima matrice che ha mosso lo sguardo visionario di Matteo Garrone, il regista di Gomorra e Reality che ritorna nelle sale con il suo Racconto dei Racconti, personale rivisitazione dell'opera di Basile.

Come un funambolo in bilico tra bellezza e mostruosità, tra sogno ed incubo, lo spettatore si lascia trascinare dalla narrazione solenne delle storie, che mai si toccano, della Regina di Selvascura, del Sovrano di Altomonte e del libertino Re di Roccaforte, dalle loro ossessioni e dal loro dramma; proprio come un Cantastorie, Marrone non dà spiegazioni e non giudica, lascia molto di inespresso, ammonisce e spaventa, ma consegna agli occhi uno spettacolo mozzafiato ed un'esperienza estetica che non si dimentica.

I temi cari al cineasta ed a tutte le fiabe degne di tale nome, come la trasformazione del corpo, l'incertezza esistenziale, l'inganno e la passione accecante, si mescolano a sequenze pregne di sensualità e violenza che enfatizzano le conseguenze disastrose cui conducono i desideri se smodati e indomiti. E non per scelte di marketing, né per adeguare il “prodotto” agli standard hollywoodiani, ma per rispetto a chi quelle storie le ha tramandate, a chi le ha raccontate prima di lui, affascinando con le sole parole e senza avere il sostegno della potenza delle immagini, pur trattando temi complessi;  per questo le sovrabbondanti metafore, le stravaganti similitudini che sono tipiche delle storie de Lo Cunto, insieme all'uso del meraviglioso e agli spunti drammatici, alla propensione per le scene erotiche e per la deformazione grottesca di un gusto tipicamente  Barocco, vengono trasposte nel linguaggio cinematografico di Garrone, che non disdice incursioni nelle atmosfere goticheggianti o nel cinema del passato, come La maschera del demonio di Mario Bava, il Pinocchio di Comencini, il Casanova di Fellini e L’Armata Brancaleone di Monicelli.

Così, come in ogni fiaba che si rispetti, nessuno può sapere se vivranno per sempre felici e contenti, ma certamente tutti sono consapevoli che quello che hanno udito raccontare rimarrà  lunghissimamente nei loro occhi.

 

Rossella Marchese

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