La malattia mentale cent’anni dopo: colloquio con Pasquale Penta senior

19.10.2013 18:27

Il nostro articolo tratta di un tema più che mai scottante: è attuale la mostra a Matera nel Museo della Follia, ideato da Vittorio Sgarbi, dove la follia è vista come uno spazio cje convive con la ragione, alterandone la sintassi, il lato notturno della società.

Son passati centovent’anni da quando Pasquale Penta senior pubblicò per Vallardi un denso volumetto dal titolo Pazzia e Società collegando l’anomalia che squassa anima e corpo, mente e cuore dell’uomo, all’organizzazione di un gruppo che una graduale evoluzione di vita  inoltrerà, più o meno celermente, sulla via  della civiltà. Mentre qualche decennio dopo Freud parlerà della civiltà come del sofferto frutto della nevrosi generata dalla repressione degli istinti antisociali e dalla sublimazione della sessualità dell’uomo, lo studioso italiano ritiene la società strumento indispensabile ad evitare che la pazzia dilati il suo già amplissimo respiro che, anche se non risplende, per l’universo penetra, in una parte più e meno altrove. (P.Penta,Pazzia e società)

Profondo indagatore della mente umana, tra le molte cariche direttore di Riviste di Psichiatria forense, Antropologia criminale e scienze affini; direttore dell’Archivio di Psicopatie Sessuali, professore di Antropologia Criminale all’Università di Napoli dal 1896 al 1904, anno della sua morte prematura; compianto dal mondo scientifico del suo tempo come una solida pianta strappata alla scienza da un ciclone, il professore Pasquale Penta senior dedicò le sue ricerche d’avanguardia internazionale e le sue sofferte esperienze di medico  agli ospiti degli stabilimenti penali suggerendo non solo la cura, ma la prevenzione del  male tramite l’educazione: un’educazione che guidasse, maturandoli, lo spirito e la mente dei giovani mediante la critica, il pensiero,lo studio della realtà senza preconcetti e senza dolore, più che con l’interna vita del sogno.

Non ci consola l’osservazione del nostro professore il quale, cifre e statistiche alla mano, dichiara che dove maggiore è la civiltà, maggiore è la forza fagocitatrice del morbo, dando ragione a Rosseau e al suo esemplare di felicità, il buon selvaggio in armonia con la natura.

La gemma nuova del naturalismo

Secondo i dettami del positivismo ai quali si è formato, Penta sostiene la necessità di applicare il metodo positivo e la ricerca psicofisica allo studio del diritto. Nella prolusione dell’anno accademico1894-95 agli studenti della facoltà di legge, egli asserisce che il diritto è espressione della media di tutti i sentimenti sociali dominanti mentre il delitto è un’espressione morbosa di una minoranza, e come tale va indagato nell’ambito dello studio dell’uomo e della società. Per i popoli selvaggi  la malattia era effetto di malefici e castighi delle divinità, e abbandonavano i lebbrosi con orrore e sottoponevano i folli, ritenuti stregati, a torture e a esorcismi, ma tuttora i delinquenti sono considerati come i lebbrosi e i pazzi dei tempi passati e la nostra società ha orrore e disprezzo per loro

L’evoluzione del diritto corrispondente a quella delle funzioni dell’uomo, non nasce nel selvaggio che si basa sulla forza, ma in seno a gruppi, a tribù e poi alla fusione di essi in società e subisce una continua evoluzione. Ne consegue che la pena va applicata non secondo il reato, ma secondo la natura del criminale.

La lezione di Penta diventa bandiera di una  vera e propria crociata a favore dell’osservazione del delitto e del reo secondo giustizia, considerando il progresso basato sulle scienze sperimentali come l’innesto sul vecchio tronco dell’umana dottrina della gemma nuova del naturalismo, l’osservazione della vita nelle sue molteplici e sempre iridescenti, vivide forme: ecco la filosofia, ecco la scienza che si addice ai tempi nuovi. Contrariamente alla teoria della scuola classica improntata al credo ideologico di Beccaria, che vede nel comportamento criminale la scelta dell’uomo di non rispettare il patto sociale secondo il suo libero arbitrio, per Penta il delinquente è il portatore di un male innato o provocato da elementi degeneranti. La cura del criminale va quindi preposta alla sua punizione e la sua responsabilità va temperata dalla influenza fortemente attenuante di quanto l’ha formato.

Il crimine è studiato come malattia le cui radici affondano nella storia stessa dell’uomo ed oltre, fino  alla preistoria, alle origini favolose dei miti cantati dai poeti che costellarono le loro favole di dei e di eroi.

Criminalità e malattia: la preistoria

E dalla mitologia parte Penta nel suo excursus, passando per la licantropia, il tarantolismo, la stregoneria. Le varie epoche d’oro del mondo, con le loro apparentemente innocenti albe, si aprono sotto l’indagine dello studioso a mostrare la loro verità nascosta dalla magia della narrazione. Passano sotto il suo vetrino di scienziato le iperboliche gesta dei protagonisti della letteratura eroica e poetica che ci ha formato senza suscitare giudizi critici in noi, prima studenti, poi lettori, affascinati dallo splendore dei versi e dalla favolosa poeticità dei contenuti.

Dei, eroi, geni

Ecco le orgogliose figlie del re di Argo punite da Giunone, urlanti nelle selve; Filottete, prigioniero della sua malinconia; Edipo, la cui predestinazione ai guai è tale da farlo sentire creditore fino alla morte della divinità e che  si strappa gli occhi autopunendosi ulterioriormante di peccati dei quali è stata vittima predestinata per placarne, ad un suo modo del tutto folle, le ire…Tutti pazzi, chi più, chi meno furioso…come i capi delle maggiori rivoluzioni politiche e religiose, da Lutero a Giovanna d’Arco agli attentatori di re e agli stessi geni dei tempi nostri, da Rossini a Tasso a Schumann a Rosseau, tutti affetti da allucinazioni o da deliri di grandezza, da paranoia o da ipocondria. Tra le cause dirette, la famiglia; indirette, la società; alla base,  predisposizione e indole: ed ecco la follia agitare intorno alla sua preda i suoi  veli d’ombra e di spasimi, e chi legge  non può che condividere la tesi del professore positivista. Come definiremmo oggi un Ercole che, fin da lattante, si dedica ad inaudite e crudeli gesta? E dove metteremmo un giovane versato nelle arti, bello come il Sole, che scuoia un povero satiro che si è permesso di gareggiare con la sua divina lira, e trasforma in pianta una fanciulla che gli si nega, se non al manicomio criminale? Come giudicheremmo una guerriera-capopopolo e guerrafondaia ispirata alle visioni mistiche di Costantino, che affronta il rogo sostenuta dall’adrenalina dell’aut mori-aut pati?

Eros e civiltà

Interlocutori di Penta nei suoi iniziatici lavori sul rapporto tra eros e mente sono Stover, Schloss, Tellegen, Brouver, e la sua casa napoletana è frequentata da scienziati e accademici di tutta Europa. I suoi studi sul rapporto tra sessualità e malattia vengono tradotti in Europa, e nella rivista Archivio della psicopatie sessuali, da lui fondata nel 1896, studiosi quali Freud e R.Krafft-Ebing intrecciano i loro percorsi. Nel 1905, un anno dopo la morte di Penta, Freud pubblicherà la sua Teoria della sessualità che, dopo il 1910, applicherà al mondo delle arti e alle diverse espressioni della cultura.

Sessualità e disagio di vivere: le anomalie degenerative. Goethe e i percorsi iniziatici del sapere

Agli ininterrotti studi di Penta sulle anomalie degenerative si devono scoperte sulle emigrazioni dei popoli primitivi.  Nel suo testo Rare anomalie di un cranio di un delinquente, egli si inoltra nella strada percorsa, quasi contemporaneamente, da A. Binet, da T. Ribot e, precedentemente, da P.Broca, da H.Spencer, da A.Quètelet e da decine di altri scienziati, tutti  illuminati dallo spirito motore di J.W.Goethe, dai suoi Scritti scientifici di Morfologia e zoologia, dal suo studio sul rapporto tra un organo ponderabile, il cervello e la luminosa, imponderabile creazione del pensiero: Goethe, creatore del Faust e de La Teoria dei colori, che ricostruì le funzioni primarie della vita nella radice e nella foglia e nella mandibola umana scopri il legame tra le specie viventi al di là di ogni evoluzione, di ogni metamorfosi: questa, la grande scuola di pensiero del nostro scienziato alla  cui luce egli seppe indicare le nuove strade per curare la più insidiosa delle malattie, capace di infrangere il principio unificante dell’uomo.

Anna Maria Siena Chianese

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