I Bronzi di Riace

29.03.2015 10:10

La civiltà greca fu, indubbiamente, il modello unico, a cui, in primis Roma ed altri popoli mediterranei in passato si ispirarono; ancora oggi, disquisendo sulla Grecia antica, giammai si è usi riferirsi al Paese, inteso come stato, essendo quest’ultimo, allora, identificato, esclusivamente, come polis, città governata con proprie autonome leggi.

La storia, inoltre, ricorda la lunga rivalità fra Atene e Sparta, ma, nonostante ciò, esse si allearono per contrastare il pericolo dell’incombente egemonia persiana, evitato grazie alle vittorie, riportate dalle loro forze nellabattaglia di Maratona nel 490 a.C., in quella navale di Salamina 480 a.C. ed a Platea nel 479 a.C., che, sebbene rappresentassero uno conflitto fra due civiltà, furono, indubbiamente, il volano di spinta, che consentì ai Greci di affermare la propria superiorità culturale, basata su due elementi cardine: l’autonomia e la democrazia.

Da allora i progressi raggiunti favorirono,certamente, nel mondo occidentale il conseguimento di buona parte dello scibile umano, considerando, inoltre, la disponibilità dei mezzi di quell’epoca, che, comunque, spaziavano dalla matematica alla filosofia, dall’architettura all’astronomia, dall’arte alla politica e, grazie all’evoluzione di quest’ultima, ebbe origine la, già, citata democrazia.

Riferendoci, in particolare all’arte scultorea dello stesso secolo, gli artisti ritennero opportuno, a differenza dei loro omologhi precedenti, di trasmettere, mediante le loro creazioni, quelle emozioni, propriamente umane, raggiungendo, così, l’acme dello splendore dell’arte greca, che, degnamente, fu da allora definita classica.

Premesso tutto ciò, a riguardo delle città-stato va detto, che, sebbene esse fossero lontane dalla propria madrepatria, conservavano un forte e continuo legame, sia di carattere religioso, linguistico, nonché culturale e, pertanto, tali da ritenersi, meritatamente, “ Greche “ a pieno titolo; infatti, il Sud Italia, riferito alla stessa antica civiltà, era ed è noto come Magna Grecia e comprendeva Sicilia, Calabria, Basilicata Puglia e Campania, che Ovidio ci ricorda per lo splendore e la grandezza, con questa epigrafe:

 “Itala nam tellus Graeciam aiorerat!”Ciò che chiamiamo Italia, era Magna Grecia !

Ne sono fulgidi esempi, che val la pena citare:,

Siracusa patria di Archimede.

Metaponto con Pitagora, che, pur non essendo nato in questa polis, in essa sviluppò il proprio celebre teorema.

Rhegion alias l’odierna Reggio Calabria, terra natia dello scultore Pitagora, omonimo del matematico e ritenuto da alcuni come l’autore dei celeberrimi Bronzi riacesi, di cui argomenteremo, dopo questa doverosa chiarificazione.

Tutto ha inizio il 16 agosto 1972, quando un sub capitolino, tale Stefano Mariottini, nel corso di un’immersione a 300 m dall’antistante Riace, cittadina jonica sulla costa calabro-orientale, resa, poi, celebre per questi Bronzi,a circa8 m di profondità rinvenne per puro caso i due inestimabili capolavori.

Le operazioni di restauro e gli accuratissimi controlli hanno richiesto notevole tempo, come ad esempio le varie fasi di lavorazione, nonché la definitiva e giusta collocazione, dopo quelle pro tempore a Firenze ed a Roma, completatesi nel locale Museo Archeologico reggino 41 anni dopo quel 16 agosto, giorno del fausto ritrovamento sino a quello, finalmente, della loro definitiva sistemazione a metà 2013; mesi fa, inoltre, pare che l’evento dell’Expo 2015 di Milano a maggio prossimo, avesse ispirato qualcuno a volerli colà esporre, non considerando gli enormi ed eventuali rischi che ne sarebbero potuti scaturire, durante i due traslochi e la sistemazione provvisoria, ma per fortuna si è deciso chei Bronzi restassero a Reggio Calabria.

Le due statue, raffiguranti due uomini prestanti con possente muscolatura, la cui età sembra oscillare fra i 2400 ed i 2500 anni, mostrano un giovane con una folta capigliatura, cinta da una fascia, detta tenia, tipica benda greca, che veniva offerta, anche, come pare sia avvenuto in questo caso, al vincitore di una gara agonistica, mentre per esclusione l’altra, il meno giovane, risulta, facilmente, riconoscibile, perché indossante un elmo, nonché orbo dall’occhio sinistro.

Studi ed analisi approfondite da parte di alcuni dei maggiori esperti mondiali hanno, anche, se non confermate ufficialmente, attribuito due ben diverse paternità artistiche, stabilendo che la statua del più giovane fosse opera dell’argivo Agledas, definito maestro dei maestri, dei suoi allievi ricorderemo Fidia – Mirone – Policleto, mentre quella del meno giovane, raffigurante l’orbo con l’elmo, al lemniade Alcamene, istruito dal celeberrimo Fidia.

Stupisce, fortemente, che la tecnica di lavorazione di allora, adoprata dai maestri scultori del V secolo a.C. ed ancora oggi simile all’attuale, consentisse loro di evidenziare la sublimità e la bellezza, espresse con lamagnificenza delle loro opere.

Il lavoro di ogni statua avveniva in tre diverse fasi articolate.

Veniva, dapprima, creata una statua d’argilla, detta anima, che poteva essere eseguita in due modi diversi, a seconda della tecnica, fosse quest’ultima diretta od indiretta.

Con la tecnica diretta lo scultore plasmava la, già, citata anima con le proprie mani, collocando l’argilla attorno a delle aste di ferro, utilizzate, ovviamente, come supporti,completandola, poi, man mano, aggiungendone altra strato su strato.

Utilizzando, invece, quella indiretta l’artista realizzava l’anima con della cera, affinché questa risultasse vuota nel proprio interno, nel quale, poi, avrebbe versato dell’argilla, ancora, plasmabile, che gli consentisse di inserire opportune aste ferree di sostegno; successivamente, l’anima, veniva, nuovamente, rivestita di cera e, di nuovo, ricoperta d’argilla o materiale similare, al fine di creare un blocco solido resistente ad alte temperature, il cosiddetto mantello di fusione ed inoltre, attraverso un’opportuna serie di fori in esso praticati, vi veniva colato il bronzo, la cui temperatura di fusione raggiungeva, presumibilmente, circa 1000° centigradi e, una volta incuneatosi all’interno, brevemente, ricopriva la cera, che, sciogliendosi, sarebbe poi defluitada ulteriori fori, all’uopopresenti alla base del manufatto argilloso.

Questa particolare tecnica era definita fusione a cera persa.

Il bronzo, infatti, sostituendo la cera, riusciva ad evidenziare ogni minimo dettaglio ed una volta freddatosi, permetteva l’eliminazione totale di tutto il materiale esterno refrattario; ecco,  finalmente, la statua pronta e, perfettamente, identica al modello cereo, al cui interno, però, era, ancora, presente parte dell’argilla dell’anima alias terra di fusione.

Per motivi economici, dovuti ai costi, nonché a quelli di peso, le statue erano costruite con una cavità al proprio interno.

 

Francesco Martines

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