All’Orto botanico, il Novecento di Baricco

09.08.2013 13:38

La poliedrica attività dello scrittore sembra consentirgli, in uno dei suoi più famosi testi, di spaziare  a suo piacere nelle dimore segrete dell’uomo, dove si annidano le paure e le angosce e quegli scoppi di vitalità e di gioia che consentono al mondo di continuare a girare e alla vita di continuare a scorrere. Ma ciò che nello spettacolo, messo in scena all’Orto Botanico da Il Pozzo e il Pendolo per la regia di Annamaria Russo, scorre dinanzi agli spettatori è qualcosa di diverso dalla vita, qualcosa di più grande, anzi di immenso, e insieme di più piccolo, perché l’uomo può ridurlo a icona e consentirgli di occupare solo una parte di sé continuando a incamerargli accanto, e senza problemi logistici, altri spazi, altri tempi, altri destini. Parliamo dell’oceano, il gran mare comune che non accetta definizioni paesaggistiche, ma che può esser addomesticato da chi ne abbia scoperto l’ambigua polivalenza di crudeltà senza misericordia e di splendore senza tramonti refrigeranti. Così esso può divenire un mare di casa, infido quanto si voglia, ma privo di quel mistero del quale ammanta la sua orgogliosa ironia, il suo subdolo doppio gioco. Ecco quindi che su di esso la vita può assumere una sua scansione di normalità, una sua ovvietà pur nella dimensione inconsueta, una sua rionalità pur nella vastità sconfinata di irraggiungibili orizzonti. Ed ecco, quindi, come capire, e condividere, la scelta di non derogare alle regole con esso intrecciate, di non cercare asili politici su materiali grevi detti aprioristicamente terraferma, di giocare con esso una partita a scacchi dove l’insidia al re rischia di riflettersi su tutta l’infida scacchiera azzurra dove ogni partita è già persa in partenza, dove sono escluse le rivincite e le elucubrazioni rischiano di afflosciarsi su sé stesse come vele senza vento, o come venti senza vele.

Messo in scena al Festival di Asti con Eugenio Allegri per la regia di Gabriele Vacis nel 1994, suo anno di nascita, Novecento di Baricco conserva la sua struttura di monologo che talora sembra interiorizzarsi, perché i personaggi che ne abitano le parole e i suoni non tendono a soluzioni concrete della vicenda. Il mistero che si è trasmesso fin dalla sua nascita al bambino sconosciuto sembra raccogliersi intorno all’uomo, e all’artista, ancor più fittamente, mentre basta considerare che non è affatto misteriosa la scelta di Danny, una scelta che si ripete in ogni porto e ad ogni approdo. Per chi supponesse che la sua è una rinuncia alla vita, vale l’invito ad osservare che in cambio della vita cosiddetta normale Danny rinuncerebbe a viverne infinite altre, quelle di quanti su quel transatlantico dal programmatico nome di Virginian si avvicendano e dalle quali il viaggiatore senza approdi assume le informazioni necessarie ad evitare la robottizazione della propria. Se si aggiunge che, chissà per quale miracolo di trasfusione di onde e albe a tramonti in arie, notturni e sinfonie, il gran dono dell’oceano al suo fedele abitante è stato quello dell’arte eccelsa del suono, si può comprendere come noi ascoltatori-spettatori non abbiamo scampo: niente colpi di scena, il nostro eroe non mancherà di tenerci sospesi per qualche minuto ad ogni approdo, ma il sospiro di sollievo nel rivederlo sul suo gran mare al riparo dalle insidie della vita si interromperà dinanzi alla scelta definitiva che fonderà tra loro l’uomo e la sua vagante dimora marina in un unico, rovente colpo al cuore. Per la voce di Paolo Cresta, che si conferma grande narratore e perfetto comunicatore di sensazioni, di emozioni, di stati d’ansia e d’animo, prende forma e corpo dinanzi a noi una storia apparentemente infinita che, come tutte le storie destinate a durare, termina in un modo che la nostra tenerezza tende a definire improprio mentre è, a ben vedere, l’unico plausibile di una vicenda che ha per protagonisti un uomo e il suo oceano personale, la cui immensità egli è riuscito a circoscrivere rendendosene accorto amministratore nonché inquilino che disdice nel solo modo che gli è possibile, e da solo, e alla prima richiesta, il suo contratto di locazione con l’infinito.

Anna Maria Siena

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